Out of Europe: è ora di puntare su Asia e Africa

L’Italia registra il 60% degli scambi con i primi dieci Paesi con cui ha rapporti commerciali e oltre il 36% di questi scambi si svolgono soltanto con, in ordine di volumi, Germania, Stati Uniti e Francia. Secondo i dati dell’Ice di fine 2021 (ultimi disponibili), basati su una rielaborazione dei dati Istat, le nostre esportazioni verso questi ultimi tre Paesi ammontano complessivamente a poco meno di 170 miliardi di euro, volume che viene raggiunto dai successivi dieci partner commerciali italiani solo se considerati collettivamente.


In questo contesto, non va dimenticato che le variabili economico-finanziarie influenzate dai fattori geopolitici sono numerose, ma poche subiscono l’impatto determinante dei rapporti di forza tra gli Stati, o comunque tra aree geopoliticoeconomiche omogenee, come il commercio internazionale.
Guerre, nuove alleanze, politiche di incentivo o disincentivo da parte di singoli Paesi da o verso determinati contesti possono modificare profondamente e, a cascata, cosa viene negoziato e come e attraverso quali rotte avvengono gli scambi.


Nell’ambito dei mercati di sbocco delle esportazioni italiane può quindi valere innanzitutto il concetto di «rischio concentrazione», per motivi storici, culturali, normativi, ma anche e soprattutto geopolitici.


Il rischio di concentrazione appare tuttavia limitato, non fosse altro che per gli ottimi rapporti politici che intercorrono con i Paesi citati.


Una maggiore diversificazione sembrerebbe però opportuna: per ora, il 52% dell’export è rivolto a Paesi dell’Unione Europea (favorito soprattutto dal trattato di libera circolazione delle merci) e solo il 48%, quindi, verso sbocchi diversi. Nel grafico, dei primi quindici Paesi per volumi esportati, undici sono europei (compresi Svizzera, Regno Unito e Russia), a cui si uniscono Stati Uniti, Cina, Turchia e Giappone.


Secondo l’Istat, a novembre 2022 (ultimi dati disponibili) «su base annua i Paesi che hanno dato i contributi maggiori all’incremento dell’export nazionale sono: Stati Uniti (+31,2%), Svizzera (+54,1%), Francia (+14,2%), Regno Unito (+27,6%) e Spagna (+22,4%). Le esportazioni verso la Russia si sono confermate in forte flessione (-27,6%)».


Quest’ultimo dato, malgrado il forte impatto mediatico finora ricevuto, si configura di fatto come un non-problema: la percentuale dell’export verso la Russia è ormai attorno all’1,5% del totale e, sottolinea l’Ice, «una possibile flessione del 40% circa delle esportazioni verso la Russia corrisponderebbe a meno dell’1% dell’export nazionale».

La crescita globale rallenta

Da qualunque lato lo si guardi, il periodo 2021-2022 per il commercio internazionale è stato molto complesso. Le prospettive di recessione, innescate dalla lotta all’inflazione e dal rialzo dei tassi da parte delle banche centrali, unite a un’altra varietà di fattori congiunturali (politica zero-Covid cinese, rialzo dei prezzi delle materie prime, costi dei trasporti e della logistica, guerra russo-ucraina, ecc.) fanno propendere gli analisti per un rallentamento della crescita tra il 2023 e il 2024, seguito probabilmente da una successiva ripresa.


In questo senso, le previsioni di Sace chiariscono bene lo scenario: su 507 miliardi di euro di esportazioni italiane indicati per il 2021, su dati Oxford Economics, e relativi al 92% dei volumi esportati, è possibile avere uno spaccato più preciso delle tendenze per singole macroregioni (si veda il grafico «Le geografie dell’export italiano» in questa pagina).
Lo scenario che emerge conferma un deciso rallentamento della crescita (da considerarsi quindi un problema economico di livello globale e non solo italiano), che potrebbe passare da un rimbalzo a doppia cifra del 2021 (con un picco del +28% relativo all’America Latina) a poco sotto il +5%, con le eccezioni dell’Europa Emergente (in positivo: +7%) e dell’Africa Subsahariana (in negativo: +1,60%).

«L’export è cresciuto verso Svizzera (+54,1%), Stati Uniti (+31,2%) e Regno Unito (+27,6%)»

Quote di mercato e opportunità

Infine, ancora l’Ice mostra come siano numerosi i Paesi del globo all’interno dei quali l’Italia vanta una quota di mercato delle esportazioni superiore al 3,7%. Si tratta, come non è difficile immaginare, di quasi tutti i Paesi europei (tranne i Paesi baltico-scandinavi, l’Irlanda e la Bielorussia, in cui la quota è comunque attorno al 3%) e arabo-mediterranei (esclusi solo Siria e Libano), a cui si aggiungono la Turchia, il Turkmenistan e l’Eritrea.


Da quanto indicato dall’Ice, emerge che l’Asia, l’Africa e l’America Latina restano aree commerciali con un ampio potenziale di crescita. L’ICE segnala, per esempio, come il peso delle esportazioni verso i quindici Paesi di Asia Orientale e Oceania, che hanno dato vita all’accordo di libero scambio RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), tra cui i non trascurabili Cina, Giappone, Corea del Sud e Australia, fosse a fine 2021 pari solo all’8% del totale. Non bisogna dimenticare, infatti, che Paesi come Cina, Brasile,

India o Messico non sono solo grandi esportatori di materie prime, ma hanno classi medie e medio-alte in crescita che guardano con grande interesse ai prodotti occidentali di qualità.


A questo proposito, una bussola molto utile per orientarsi nelle future evoluzioni del commercio internazionale è l’Export Opportunity Index, calcolato da SACE al fine di valutare i rischi di finanziamento e di assicurazione da concedere alle aziende italiane esportatrici (www.sace.it/mappe#/mappe/home).


Se le migliori opportunità possono essere colte in Spagna, Francia, Germania e Stati Uniti, subito dopo si collocano appunto Paesi asiatici come Arabia Saudita, India, Cina, Vietnam, Indonesia e Giappone. In Africa, i riferimenti sono invece in primis Marocco e Sud Africa, seguiti dall’Algeria, dai Paesi dell’Africa centro-orientale e dall’Angola. E se in America del Sud, infine, l’Argentina mantiene un profilo meno attraente, Brasile, Colombia e Cile aspettano solo di essere valorizzati.