Obiettivo 650 miliardi: l’export italiano ha ripreso a correre
L’Italia si è ripresa dal periodo buio della pandemia e dai conseguenti rallentamenti dell’economia e delle esportazioni? La risposta che emerge dal Rapporto Ice 2021-2022 dal titolo «L’Italia nell’economia internazionale» appare più che positiva.
Secondo l’Istituto del Commercio Estero, infatti, «già alla fine del 2021 l’export italiano aveva superato del 7,5% i livelli prepandemia e nei primi sei mesi del 2022 si è registrata un’ulteriore crescita tendenziale del 22,4%». E questo a fronte di una crescita del commercio mondiale che l’Ice stima al 2,1% per fine 2022. Il rapporto citato non è ovviamente l’unico a disegnare un quadro della situazione dell’export italiano. Ma anche se le diverse fonti dei dati disponibili, pubbliche e private (Sace, Istat, ecc.) hanno finalità differenti e coprono finestre temporali non sempre sovrapponibili, sono complessivamente in grado di dare una visione chiara dello stato attuale della posizione dell’Italia nel contesto del commercio internazionale e, soprattutto, delle tendenze in atto.
Siamo al boom? Quello che è possibile dire sin da subito è che a fine 2021 il volume delle esportazioni made in Italy (anzi, «fabbricato in Italia», come riportano sulle etichette alcune tra le case di moda italiane tra le più prestigiose del mondo) ha toccato quota 516 miliardi di euro. Un livello, come si può vedere nel grafico «Andamento dell’export italiano di beni nel lungo periodo» in questa pagina, in alto, che non era mai stato raggiunto prima, non avendo mai superato i 480 miliardi di euro.
C’è però, a questo proposito, da fare una considerazione importante: dallo stesso grafico emerge come quella attuale non sia una ripresa estemporanea, un mero rimbalzo tecnico, per così dire. Questo livello si inserisce infatti in un trend di lungo periodo che nell’ultimo decennio non ha mai fatto passi indietro né subito contrazioni, ma che al contrario continua a registrare una crescita costante (fatto salvo il 2020 come naturale reazione alla situazione pandemica globale).
Italia «best in class» europea
Si potrebbe obiettare che, in un contesto di riapertura globale dei mercati, tutti i Paesi esportatori hanno beneficiato di simili trend. I dati Ice, tuttavia, smentiscono questa ipotesi. Nel grafico «Il rapido recupero dell’export dell’Italia a confronto con altri Paesi» in questa pagina, al centro, è evidente come Regno Unito e Francia, per esempio, a fine 2021 non solo non sono stati in grado di recuperare il terreno perduto, ma anzi hanno continuato a scivolare verso il fondo della classifica dei Paesi maggiormente export-resilienti, rispettivamente con un -3,6% e un -3,0%, a fronte di un italico e corposo +7,5%.
Chi altri può dire di aver fatto altrettanto? I grandi storici esportatori di prodotti a bassa qualità (Cina +27,6% e India +15,6%), accanto alla Corea del Sud (+12,7%), al Canada (+7,0% grazie alle materie prime) e alla Germania (+3,7%). Questi primi dati ci dicono che il «Sistema Italia», seppure sempre bisognoso di un maggiore sostegno da parte delle istituzioni a fronte di una concorrenza agguerrita e implacabile, funziona e ha i numeri per proseguire nella sua corsa.
Segno anche che, probabilmente, in questi decenni le reiterate richieste di aiuto da parte delle aziende italiane alle istituzioni hanno avuto riscontro, sia a livello legislativo sia per le iniziative messe in campo a supporto dell’export.
Quanto pesa l’export sul Pil italiano
Il 2011 è stato un buon anno per la bilancia commerciale italiana. È infatti da quella data che le esportazioni hanno iniziato a pesare sul Pil quanto le importazioni (il 26%), per poi avviare, dall’anno successivo, un trend positivo che fino a oggi non si è mai interrotto (si veda il grafico «Peso degli scambi di beni e servizi sul Pil dell’Italia» nella pagina precedente, in basso).
Se tuttavia si cerca anche in questo caso di identificare un trend preciso, si comprende che non è così semplice. Fino al 2013 il divario tra il peso sul Pil dell’export e quello dell’import è sì cresciuto (da 2,8 punti percentuali al picco massimo di ben 3,6 punti), ma ha poi iniziato a restringersi fino al 2017, quando si è ridotto a soli 2,1 punti (sempre però a favore dell’export). Il balzo a 2,7 punti del 2019 è poi subito rientrato ai 2 del 2021, il livello più basso del decennio.
La congiuntura, quindi, sembrerebbe spingere verso un progressivo incremento del peso sul Pil dell’import rispetto all’export, pur, come detto, all’interno di una crescita positiva delle esportazioni.
Un elemento fondamentale resta comunque il peso decisivo dell’export sull’economia italiana, passato dal 26% del 2011 all’attuale 32%.
«Secondo il nostro scenario base nel 2022 le vendite oltreconfine continueranno a crescere, segnando un +10,3% e continuando a registrare un andamento positivo anche nel 2023 (+5,0%)» (Sace).
Verso i 650 miliardi di export
Tenendo sotto gli occhi il primo grafico, potrebbe essere intuitivo pensare che il trend di crescita delle esportazioni non sia destinato a interrompersi, ma che anzi siano da
attendersi anni ancora più rosei. Sarà davvero così?
Per quanto riguarda l’Italia, la previsione più esplicita e ottimistica arriva dal Rapporto Sace (l’ente italiano per il supporto assicurativo e finanziario alle imprese esportatrici) del 2022: «Secondo il nostro scenario base», scrivono infatti gli estensori, «nel 2022 le vendite oltreconfine continueranno a crescere, segnando un +10,3% e continuando a registrare un andamento positivo anche nel 2023 (+5,0%), quando si raggiungeranno quasi i 600 miliardi di euro di export, per poi attestarsi su un ritmo di crescita medio annuo del 4,3% nel biennio 2024-25».
Si tratterebbe quindi, scrive Sace, di 569 miliardi per fine 2022, 598 miliardi nel 2023, 627 miliardi nel 2024 e ben 652 miliardi nel 2025.
Per quanto riguarda il commercio globale, tutte le previsioni indicano una progressione positiva anche per il 2023, con obiettivi di crescita attorno al 3-4%. Ice e Prometeia stimano infatti un +4% per la fine di quest’anno, precisando che «per quanto si tratti di tassi di un incremento ben inferiore a quelli ipotizzati a inizio febbraio 2022, restano prospettive di crescita nel breve-medio periodo che le imprese italiane hanno il potenziale per poter cogliere. La previsione va inoltre inquadrata in uno scenario di “riconfigurazione della globalizzazione”, che tenga conto di rinnovati fattori di rischio geopolitico». Come dire, non è facile fare previsioni certe perché la guerra e le sue conseguenze sono parzialmente imprevedibili.
Sace si mantiene un po’ più prudente, ipotizzando una fine d’anno al 3%, con i primi sei mesi a +4,5% ma con «un possibile deterioramento nei prossimi mesi» dovuto in particolare al «calo di nuovi ordini per le economie più avanzate».
I dati di Oxford Economics sull’andamento dell’interscambio internazionale di beni e di servizi mostra infine un andamento estremamente irregolare nel rapporto tra le due voci fino al 2019, che però a fine 2023 dovrebbe portare a un +12,2% di crescita per i servizi, a fronte di un +2,7% per i beni; l’online, insomma, batterà ancora le difficoltà di approvvigionamento e i costi della logistica. Queste percentuali, tuttavia, nel biennio 2024-25 dovrebbero riallinearsi, con un contenuto +3,5% per i servizi e un significativo +6,4% per i beni.
di Andrea Fiorini